Il malto d’orzo è la base di tutte le birre. Nelle mie Birre di Farro, quest’ingrediente lo aggiungo in percentuale, solo una è 100% farro, che viene maltato in Germania. Per i malti chiari uso quelli tedeschi, che è la nazione più vocata per questa tipologia. Per i malti, diciamo, caramellati, più scuri, quelli del Belgio. I malti torrefatti, cioè per le birre scure, nere, provengono dall’ Inghilterra, la più specializzata in quel tipo di birra. Faccio un mix dei vari malti, a volte ce ne possono essere anche sette o otto delle varie tipologie, ma di base la percentuale maggiore è sempre il Pils.
Roberto Giannarelli, birraio di Petrognola racconta come “compone” la sua birra.
Li macino, il giorno prima, in base alla quantità desiderata, più c’è malto, più si alza la gradazione.
Poi mando tutto nella prima caldaia alla temperatura di partenza di 40° per la fase proteica. Qui comincia a crearsi tutto il mondo dei microorganismi, gli enzimi si risvegliano e cominciano a lavorare, disgregano le proteine e trasformano tutto in zuccheri, semplici e complessi. Le proteine sono importanti perchè sono le responsabili della tenuta della schiuma, ma un eccesso rende la birra torbida e instabile. L’equilibrio giusto si trova in base alla durata di questa fase, a questa temperatura.
Poi si sale a 62°, ed è la fase della beta amilasi, responsabile degli zuccheri semplici: glucosio, maltosio, saccarosio… zuccheri che poi il lievito nella fase della fermentazione riuscirà a distruggere completamente trasformandoli in alcol e CO2.
Dopo la beta amilasi avviene l’alfa amilasi a 72°, che è la responsabile degli zuccheri complessi come malto triosio e le destrine. Sono quelli che danno corpo alla birra, cioè sono zuccheri che poi i lieviti non riescono a disgregare completamente, e la cui lavorazione da parte dei lieviti continuerà all’interno della bottiglia.
Da 72° si passa a 78° gradi. E lì si ha il meshout, si uccidono tutti gli enzimi che sono rimasti e non servono più. Attraverso un filtro poi vengono sperate le parti grosse dal liquido; nel filtro l’impasto stesso diventa filtrante, e poi la trebbia, così chiamata, viene data al bestiame, perchè è un ottimo mangime. Non si butta via niente.
Finito quindi il processo di trattamento si va in bollitura, tra i 96° e i 98°. Dalla temperatura a cui inizia a bollire io mi accorgo del tempo che fa fuori, senza dover guardare il cielo!
Adesso si mette il luppolo: all’inizio dà l’amaro, alla fine dà l’aroma. Va messo proprio agli ultimi momenti della bollitura, in modo che l’aroma che è altametne volatile, possa rimanere all’interno del liquido. All’inizio della bollitura si estraggono tutte le resine responsabili dell’amaro. È importante pensare che tutto quello che viene fatto dall’inizio alla fine viene calcolato precisamente, attraverso formule matematiche. Non viene lasciato nulla al caso. È tutta chimica e fisica applicata.
Una volta bollito il tutto viene passato attraverso uno scambiatore di calore ad acqua che è collegato a due tini: acqua calda e acqua fredda. Il primo è collegato al gruppo caldaia e il secondo al gruppo frigo. L’acqua calda deve essere massimo 76°/ 77° gradi, per tre motivi ben precisi: primo, perché questa temperatura abbatte eventuali enzimi ancora presenti; secondo perché se arriva a 80° gradi va a estrarre i tannini dalla bucce e questi sono indesiderati nella birra, a differenza del vino che viene messo nel barrique appositamente, poichè danno l’effetto astringente in bocca; terzo, l’acqua calda è un solvente naturale, quindi scioglie lo zucchero, e io ho bisogno di estrarre più zucchero possibile da quell’impasto.
Porto quindi il mosto dai 98° sui 22°/23°, e posso metterlo nel fermentatore. in modo che i lieviti inoculati non muoiano.
Quindi si mette il mosto nelle botti, e miracolosamente la natura pensa a innescare la fermentazione. L’alcol è praticamente un deterrente e un antibatterico, cioè altri organismi non possono sopravvivervi all’interno, solo loro. Quindi per difesa, trasformano questi zuccheri in alcol e possono così nutrirsi senza avere concorrenti. Vedete, la natura è perfetta… siamo solo noi che la vogliamo modificare.
Il compito del birraio qua, non è quello di stravolgere la natura, è quello di camminarci in simbiosi, se possibile, il più possibile. Si sono creati dei processi fin dalla malteria, che noi bisogna portare a termine. Il birraio può sbizarrirsi con la fantasia per creare nuove ricette, però sempre pensando che ha a che fare con organismi viventi. Quindi se li fai impazzire dopo si ribellano.
In Toscana, la terra del vino, c’è chi con coraggio ha deciso di coltivare la propria passione e produrre la propria birra,
ispirandosi ai prodotti della sua terra per arricchirla di aromi naturali tutti nostrani. È il caso di Roberto, birraio della Garfagnana, che arricchisce la sua “Petrognola” con il sapore inconfondibile del frumento che nutre e inorgoglisce la nostra terra: il Farro.
Nascono così dalla fantasia e la maestria di Roberto le birre di farro di Petrognola.
L’ Ambrata, profumata ed equilibrata dal sapore molto aromatico. La moderata luppolatura esalta il farro e il malto d’orzo, rendendola ideale come aperitivo o per accompagnare antipasti di pesce.
La nera, corposa, con un profumo goloso di cioccolato, caffè e liquirizia, dalla luppolatura sapientemente equilibrata tra l’aroma e l’amaro. In tavola si abbina benissimo con salumi, selvaggina, carni rosse e brasati.
La bianca, che unisce sapientemente farro, grano maltato e malto d’orzo. È una birra di una freschezza particolare, con sentori di agrume, liquirizia e vaniglia. Da sola è ottima, ma si sposa alla perfezione anche con piatti di pesce e pizze delicate.
La 100% farro, prodotta in quantità limitata è disponibile solo in alcuni periodi. Birra dallo stile indescrivibile, deciso e particolare. Realizzata esclusivamente con farro maltato è molto profumata, con eleganti note balsamiche e speziate. Perfetta per accompagnare le ostriche, antipasti di pesce e primi leggeri.
La Sandy, una birra rossa, il cui gusto speciale è dato da note di caramello con sfumature speziate unisce farro e malto d’orzo e il luppolo in presenza discreta, ma non troppo marcata. Da meditazione se gustata da sola, ma ottima anche per accompagnare formaggi e salumi.
Una varietà di sapori insomma, che ricordano i campi, i boschi, le montagne, i piccoli paesi che tengono viva questa inesauribile fonte di cose buone che è la Garfagnana. Una cartolina, da portare con se dopo un viaggio in queste terre.. da assaporare, fino all’ultima goccia.